Tuesday, January 11, 2011

Joelle Léandre – Nanni Balestrini @ Cox 18

(reportage trafelato + colpevole ritardo)

Arrivo di corsa sotto la pioggia e quasi alla fine della serata. Colpa delle abitudini milanesi, leggi 22.10 sul flyer e pensi, non prima delle 23, e invece; ma dal compilare due righe, in attesa di scrivere qualcosa sul lavoro di Balestrini come gli ho promesso, e sulle interviste alla Léandre che prossimamente verranno pubblicate in lingua inglese (da una casa editrice israeliana, se non ho capito male), come mi anticipa lei, non potevo esimermi. La mia prima volta al Cox, spazio di autogestione. Ogni luogo che produce cultura, (istituzioni comprese, e non si dica che è ideologia) dovrebbe essere luogo di soggettivà e militanza, cioè capace di operare scelte in campo artistico e di produrre l’inaudito, il nuovo, possibilmente a partire da un incontro. Non si dà miracolo, diceva Annah Arendt, cioè creazione, nella relazione oggettuale e nelle convenzioni.

Oui, j’aime ce désordre, ce riche désordre, ce chaos meme qui me donne du fil à retordre, des sons à malaxer, des cordes à tirailler. Il y a là un travail immense de liberté, donc de responsabilité. Vaste sujet! Quelle arrogance, n’est-ce pas?” (Joelle Léandre). Nanni e la sua compagna sono già sul palco, finiscono di recitare una poesia e scendono. Sale Joelle, introduce un suo arrangiamento di The Wonderful Widow of Eighteen Spring di John Cage (e Joyce) per contrabbasso e voce; sale di nuovo l’uomo, che recita Tre Studi per un Autoritratto di Francis Bacon (non può essere un caso), mentre lei, la musicista, suona come ho sentito nei suoi dischi, ovvero splendidamente.

Descrivere la sua musica? Per favore, non scherziamo: ci pensa Gilles Deleuze, citato da Franck Médioni in un libro-intervista con la bassista (A Voix Basse, Editions MF, 2009), quello di cui vi rendo conto all’inizio di questo scritto. “Créer, c’est résister”. Con quella virgola in mezzo, quasi una invocazione. Non ho foto, nulla con me se non un baconiano ricordo di una serata passata troppo in fretta. Ah no, ho l’autografo della Léandre (“FOR G. PAOLO, PEACE + LOVE, JOELLE LEANDRE”, e un cuoricino) sul suo disco in duo con Steve Lacy (One More Time, Leo Records, 2005), che girava nel mio stereo, le due e cinquantuno di notte, mentre compilavo queste righe. E una promessa da mantenere a Balestrini.



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